30 Mar #InvasioniDigitali, i social e l’accoglienza 2.0
Un’idea nata quasi per gioco, condivisa, partecipata fino a diventare fenomeno: questa è stata la genesi del progetto #InvasioniDigitali nel marzo-aprile 2013.
I visitatori, con in mano smartphone e tablet, si sono lasciati coinvolgere da questidea di invadere i propri centri storici, luoghi darte e cultura, armati solo della voglia di diffondere quella bellezza di cui si erano quasi disabituati a godere, riscoprendola e riappropriandosene.
Tante cose sono cambiate da allora e a questo hanno contribuito, senzombra di dubbio, anche le #InvasioniDigitali e il nuovo concetto di partecipazione e condivisione della cultura che quella sorta di Settimana della Cultura Digitale partita dal basso ha lanciato attraverso le piattaforme sociali.
Il MiBAC (ancora senza le competenze del turismo), non potendo ignorare quella diffusione virale di macchie rosse sulla mappa di Google (oltre trecento eventi organizzati in poco più di un mese), ha dovuto adeguarsi: prima sono venute le segnalazioni delliniziativa sulla pagina Facebook e sul profilo Twitter del Ministero, poi una dopo laltra si sono susseguite le manifestazioni culturali in chiave socio-digitale.
Cosè cambiato, nel frattempo?
Facebook, intanto. Linfografica finale prodotta dallo staff a conclusione delle #InvasioniDigitali, a parte il numero dei Mi Piace (oltre 5.800), delle visualizzazioni dei post sulla pagina (oltre 36.000) e del totale dellutenza raggiunta (oltre 322.000 utenti), non ha potuto tenere in considerazione limpatto quantitativo delle singole invasioni sul social network più in uso. Un paio di mesi dopo, è stato introdotto luso dellhashtag: ecco che ledizione 2014 delle #InvasioniDigitali potrà essere misurata, invasione per invasione, anche in questo senso.
Nel frattempo quel Pinterest che un anno fa era quasi sconosciuto ai più, è diventato uno strumento social sempre più comune, anche fra i musei.
Su Twitter, manco a dirlo, fioccano ormai numerosi i profili delle opere darte che cinguettano con i followers: ecco che i Bronzi di Riace si scambiano battute fra loro, così come Renzo, Lucia, Don Abbondio, fanno rivivere il racconto manzoniano a suon di tweet da 140 caratteri, creando poco alla volta il tweetbook dei Promessi sposi, una sorta di Bignami 2.0!
Ecco che di fronte a tutto questo non si può più pensare di accogliere i visitatori nei nostri musei con cartelli di divieto posti a mo di biglietto da visita (quei NO che Giancarlo Dall’Ara stigmatizzava proprio sostenendo liniziativa delle #InvasioniDigitali e che sono esemplificati al meglio dal cartello posto all’ingresso degli Uffizi ).
È indubitabile, ormai, che laccoglienza nei musei inizi da lì: quanto ci sentiremmo accolti se, sui cartelli in ingresso, o magari davanti ai nostri capolavori, ci dicessero, qui è vietato NON fotografare, scatta pure, fatti un selfie!
Sembra labbiano capito alla Galleria dellAccademia, al Museo Egizio e alla Mole Antonelliana
. Aspettiamo che lo capiscano ovunque, ma soprattutto che si realizzino quelle modifiche ormai improcrastinabili sull’uso dei social nel Codice dei Beni Culturali che tranquillizzino quei tanti burocrati della cultura ancora mentalmente incrostati nellidea della difesa del copyright a tutti i costi!
Certo, se poi si tenesse conto che non sono il numero dei Mi piace a fare un buona comunicazione su Facebook né il numero di followers a fare quella su Twitter (quanti inviti ho ricevuto a giocare a Candy Crush da profili istituzionali!); che sarebbe necessario capire che fare comunicazione con i social è un vero e proprio lavoro (svolta da professionalità specifiche come quella del digital media curator), non un passatempo; che una buona comunicazione rafforza il legame con il proprio territorio e il brand al di fuori di esso .Ecco che il miracolo sarebbe compiuto!
Elisa Bonacini